Hipponion, Veipo, Vibo Valentia
In pieno centro abitato, coperti dalla moderna Vibo Valentia, si trovano i resti del centro un centro indigeno denominato Veipo, della colonia locrese di Hipponion e della romana Vibo Valentia o Vibonia. La posizione, sopraelevata su un fertile altopiano, apparve, fin dalle origini, particolarmente funzionale al controllo della Calabria centrale e del golfo di Lamezia.
La fondazione di Hipponion, che si estendeva su 225 ettari e contava circa 10 000 abitanti, risale alla seconda metà del VII a.C. e si lega al disegno egemonico della città madre, Locri, che fondando contemporaneamente anche Medma si assicurò in tal modo il controllo della fascia centro-meridionale della Calabria tirrenica. Nello stesso luogo esisteva un precedente centro indigeno, Veipo, di cui si è rinvenuta la necropoli. Nel 422 a.C., la città, controllata da Gelone di Siracusa, si ribellò e sconfisse la stessa Locri. Dopo aver fatto parte della Lega italiota contro Siracusani e Lucani, nel 389 a.C. fu occupata e in parte distrutta da Dionisio che la restituì a Locri, e come suo costume ne deportò gli abitanti a Siracusa. Tra il 383 e il 378 a.C. i Cartaginesi e la Lega italiota liberarono nuovamente la città, restituendola agli abitanti e promuovendone la ricostruzione. A partire dal 356 a.C. il centro cadde sotto il controllo dei Brettii. Dal 192 a.C. entrò a far parte dell’organizzazione statale romana come colonia latina, col nome di Vibo Valentia, conoscendo così una seconda fase di prosperità.
I resti della città greca antica si riferiscono soprattutto alle mura, individuate da Paolo Orsi nel 1916, distribuite per un percorso di oltre 6 km e ancora visibili oggi per un tratto di circa 500 m. Altri tratti di mura sono stati messi in luce, a partire dal 1969, da Ermanno Arslan. Sul colle del telegrafo (Belvedere Grande) sono ancora visibili i resti di un tempio dorico del 500 a.C. che Paolo Orsi scoprì nel 1916; altri due templi sono stati identificati: uno ionico sull’altura del Cofino e un altro dorico presso la Cava Cordopatri. Resti dell’abitato romano sono emersi in via XXV aprile, mentre in località S. Aloe è stato scavato un impianto termale, arricchito da mosaici policromi figurati, da cui proviene un notevole ritratto marmoreo di M. Vipsanio Agrippa, genero di Augusto; nella stessa area sono state individuate due domus, con pavimenti a mosaico, tra cui spicca quello con stagioni e pesci del 200 d.C.. A Papaglionti, circa 4 km ad ovest dell’area aeroportuale militare, si trovano i resti di una grande villa romana, con volte a crociera ancora conservate; tracce di un’altra villa romana sono in località Trainiti, presso Briatico.
Da tutta l’area urbana, in particolar modo dalle necropoli del VII-IV a.C. e dalle stipi votive del Cofino e di Scrimbia del VI-V a.C., provengono preziosi reperti, oggi conservati nel locale Museo Archeologico Statale «Vito Capialbi», alla cui scheda si rimanda. Nel Museo di Reggio Calabria segnaliamo una statua marmorea acefala di Artemide e un torso di divinità maschile barbata. Statua in tipico stile hipponiano.