La Tabula Cauloniensis

La Tabula Cauloniensis

16 Settembre 2021 Off Di gestione

La Tabula Cauloniensis: la più antica testimonianza in lingua achea

 

Dai primi scavi di Paolo Orsi è passato un secolo. Ma a Kaulon c’è tanto da scavare, ecco che durante le attività archeologiche dell’Università di Pisa nel 2000 scoprì un importante reperto del V sec. a.C.:
una lunga epigrafe in alfabeto acheo, 18 linee di cui 15 versi, esametri e pentametri (il cui utilizzo forma un epigramma).

Dopo un attento restauro è stato possibile leggerla solo nel 2013. Nello scavo delle meraviglie, la tabula Cauloniensis, il più lungo testo in alfabeto acheo scoperto finora. L’epigrafe, la tatula Cauloniensis è databile al 480-70 a.C.

Per l’epigrafe viene utilizzato un alfabeto acheo coloniale, le lettere sono disposte accuratamente secondo uno schema regolare, come su una sorta di maglia in cui ognuna riceve il suo posto.

Le evidenze dei ricercatori

Dalle note dei ricercatori si evidenzia la eccezionalità del tratto per la Magna Grecia, più comune ad Atene e nella Ionia.

Le linee sono di lunghezza diversa e i versi corrispondono alla metrica“.

dopo una tipica invocazione alla divinità, vi è il nome del dedicante, Pythokritos”, (figlio di nobile padre).

una composizione poetica e per tre volte viene ricordata la presenza di una statua di Zeus detto Olimpios e Basileus (olimpio e re) e per due volte si specifica chiaramente che essa è stata eretta nell’agora da Pythokritos

La conclusione della prima parte reca poi il nome dell’artista, segno evidente che l’iscrizione doveva essere apposta sotto a una statua, come dimostrano due fori in alto sulla lamina, dove far passare i chiodi per l’affissione. La parte centrale, invece, reca

La più antica testimonianza in lingua achea

 

I versi sono di modesta qualità ma sono di grande interesse storico-religioso e culturale, specie considerando che gli anni di riferimento (480-70 a.C.) prima cioè della presenza ateniese sul suolo italico. Forse siamo qui di fronte a elementi culturali e maestranze provenienti dalla Ionia e in particolare da Samo. I personaggi menzionati nell’epigrafe non sono altrimenti noti ma la statua viene detta essere di grande ornamento per i cittadini, segno che l’agorà non dovesse essere distante.

L’area era utilizzata in epoca tardo-arcaica come luogo di culto, stando a quanto attestano anche dei segnacoli trovati integri e pertanto rispettati dai successori nell’area. È stato ritrovato un gruppo di armi raccolte insieme, degli ex voto: si segnalano un elmo calcidese e due schinieri, uno dei quali un raro tipo con gorgoneion, cioè decorato con testa di gorgone all’altezza del ginocchio, raramente attestato in ambito magnogreco e tardo-arcaico. «Un gruppo, questo – scrive M. C. Parra, archeologa e docente – formato da elementi ‘disomogenei’, ma ‘omogeneamente olimpici’ nei forti richiami ad esemplari dal santuario panellenico». Lo schiniere a testa di gorgone richiama, inoltre, un pezzo di armatura conservato nel Museo di Reggio Calabria.

 

L’insieme dei reperti si è rivelato utile per stabilire l’attribuzione del santuario, finora attribuito a Afrodite sulla base di un passo di Pausania. L’elmo reca una dedica in alfabeto acheo a Zeus (VI sec. a.C.) e sempre Zeus compare nella Tabula. Quest’ultima ci rivela una polis variegata, ricca di statue, di piazze, di un’ampia fascia aristocratica e di artisti. Purtroppo, la zona archeologica deve far fronte all’erosione naturale del mare che ha cancellato questo come altri contesti del santuario già scavati, per fortuna, nel 2013.